CASI RISOLTI

1. Consenso su un intervento
2. Parcheggio fai-da-te
3. Nomi di dominio
4. Diritto di cronaca
5. Bollatura libri contabili
6. Successioni e donazioni
7. Minori e diritto di cronaca
8. Mantenimento figli maggiorenni
9. Processo di lavoro

 

1.lI tutore o il curatore non può prestare il consenso informato su un intervento chirurgico
(Decreto del Giudice Tutelare del Tribunale di Palermo 19/XII/2000)
Nel decreto datato 19/XII/00, il Giudice Tutelare del Tribunale di Palermo ha stabilito, con la formula del "non luogo a provvedere", che il cd. consenso informato ( nel caso di specie relativo all'intervento chirurgico della sostituzione protesica dell'anca destra ) non può essere prestato dal tutore o dal curatore provvisorio, in sostituzione del soggetto interessato, incapace di intendere e volere ( nel caso di specie per demenza senile ). L'intervento del G.T. è stato attivato dal medico di reparto della Casa di Cura in cui era ricoverato il soggetto interessato. Il medico ha richiesto al Giudice l'autorizzazione ad effettuare l'intervento chirurgico in questione. Il Giudice che qui si considera ha stabilito che il medico è l'unico soggetto autorizzato a decidere, in modo autonomo, sulla opportunità dell'intervento chirurgico, senza esimersi dalla responsabilità professionale. Il medesimo Giudice motiva la decisione presa secondo una ragione formale e una sostanziale: in relazione alla prima, le norme del codice civile sulla tutela degli interdetti e curatela degli inabilitati non prevedono il consenso informato, e si estendono, in via analogica, alla ipotesi di curatela provvisoria, considerata dal Giudice tutelare. Inoltre, secondo una ragione sostanziale il cd consenso informato, in quanto atto di natura personale, non può essere delegato a terzi, neanche a parenti, nominati dal giudice quali curatori dell'incapace. Senorbì-Cagliari Avv. Bruno Sechi avv.brunosechi@tiscalinet.it

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2. Vietato il parcheggio fai-da-te
(Cass. II Sez. Pen. Sent. 22/XI/2000 n° 13287)
La Cassazione II Sez. pen, nella sentenza n° 13287/2000, stabilisce che la condotta tesa ad adibire il marciapiede, di proprietà del Comune, a parcheggio privato costituisce reato di tentata invasione di suolo pubblico ex art. 633 cp ("Chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da lire duecentomila a due milioni. Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da piu' di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da piu' di dieci persone, anche senza armi"). L'agente aveva predisposto una serie di atti ( strisce di delimitazione, cartelli di divieto di sosta, apposizione di biglietti sulle autovetture indicanti il divieto de quo e l'intimazione a non parcheggiare ). La Cassazione, in riforma della sentenza assolutoria del Giudice Unico, stabilisce che gli atti de quibus, posti in essere dall'imputato, erano diretti "ad utilizzare il suolo pubblico come parcheggio privato e, dunque, a restringere la sfera di godimento dello stesso suolo da parte della collettività comunale". Il comportamento complessivo dell'agente manifestava la volontà del medesimo "…. di occupare quel suolo a vantaggio proprio e di altri abitanti della zona…." e "…. di assoggettare il marciapiede ad un uso incompatibile con la sua destinazione pubblica….". Senorbì-Cagliari Avv. Bruno Sechi avv.brunosechi@tiscalinet.it

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3. Nomi di dominio: stessa tutela del marchio
Il nome di dominio va tutelato come un marchio; ma, per parlare di contraffazione, è necessario che ci sia un concreto rischio di confusione per gli utenti. Il principio, già enunciato dalla giurisprudenza, è stato ribadito, il 2 agosto 2001, dalla Naming Authority italiana, nel corso di un giudizio arbitrale (Arbitrato Naming Authority, 2.8.2001) . "Solo al marchio che gode rinomanza viene riconosciuta una tutela ulteriore (detta ultramerceologica) che consente al titolare del marchio rinomato di vietare l'uso di un segno identico o simile anche per prodotti o servizi non affini, quando tale uso consentirebbe al terzo di trarre un indebito vantaggio dal carattere distintivo".

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