4. I Diritti di Libertà INDICE 4.0. Aspetti
4.1. La libertà personale
4.2. La libertà di circolazione
4.3. La libertà di domicilio
4.4. La libertà della corrispondenza
4.5. La libertà di manifestazione
del pensiero
4.6. La libertà di riunione
4.7. La libertà di associazione
1. LA LIBERTÀ PERSONALE
A) L'oggetto I diritti di libertà sono indicati in modo
analitico negli articoli che vanno dal 13 al 21. La libertà
personale che l'art. 13 dichiara inviolabile, è innanzitutto
la libertà che viene sacrificata da un potere di coercizione
fisica esercitato dal giudice o dalla polizia (giudiziaria
o di sicurezza) o dal privato. Inoltre, poiché l'art.13 è
collegato alla tutela della personalità morale e della pari
dignità sociale, bisogna considerare che incidono negativamente
sulla libertà personale quelle misure che, pur non concretandosi
in forme di coercizione fisica, contribuiscono a degradare
le persone (criterio della degradazione giuridica). Una terza
dimensione a cui la giurisprudenza costituzionale attribuisce
rilievo, ai fini della delimitazione dell'oggetto della libertà
personale, è quella che è stata definita quantitativa per
cui, quando l'uomo è sottoposto ad obblighi pesanti e concatenati
che producono un vincolo assimilabile ad uno stato di coazione,
scatta la garanzia dell'art.13, così come nei casi in cui
l'obbligo, pur non comportando coercizione immediata, produce
un effetto di mortificazione o degradazione della dignità
della persona. B) Restrizione e riserva di legge: i presupposti.
Il reato. Art.13: le restrizioni alla libertà personale sono
ammesse solo nei casi e nei modi previsti dalla legge; si
tratta di una riserva assoluta di legge in base alla quale
non esiste crimine se non c'è una legge che preveda il fatto..
Gli interessi e i fini idonei a legittimare una limitazione
della libertà personale vanno rintracciati nel sistema costituzionale
nel suo complesso e, in primo luogo, negli artt. 25 e 27 che
si occupano dei reati, delle pene e del processo penale. Quindi
i casi di restrizione ammessa coincidono con i reati di cui
all'art.25 r i presupposti sono le misure di sicurezza di
cui si parla nello stesso articolo. Art.25/1: prima si stabilisce
il giudice, poi si fa il calendario delle cause. Art.25/2:
criterio di irretroattività e principio di legalità. La nostra
Costituzione non si limita a ribadire i suddetti principi,
ma fissa anche dei limiti sostanziali alla penalizzazione,
cioè alla facoltà del legislatore di qualificare schemi di
comportamento umano come reati sanzionabili con pene detentive;
tali limiti sono: Art.27/1: personalità della responsabilità
penale: la legge non può addebitare ad un soggetto la responsabilità
di in fatto commesso da altri (una deroga a tale principio
è ammessa solo in sede civile, es. la responsabilità degli
imprenditori per gli atti compiuti dai propri dipendenti).
Art.27/2: presunzione di non colpevolezza. E' il pubblico
ministero che deve dimostrare la colpevolezza mediante le
prove raccolte. La presunzione di non colpevolezza dell'imputato
trae con sé l'implicazione della colpevolezza come necessario
presupposto della condanna definitiva e della pena. La facoltà
di qualificare un comportamento come reato trova un altro
limite nel principio della necessaria offensività e lesività
del reato: il fatto deve offendere o ledere un bene giuridico
tutelato (es. non si può sanzionare la violazione di regole
morali). In sintesi: può essere configurato come reato solo
il fatto colpevole ascrivibile al soggetto quando sia lesivo
di un valore costituzionale o costituzionalmente rilevante.
L'adeguarsi a tali limiti comporta una certa depenalizzazione
delle fattispecie criminose intrapreso con diverse leggi che
hanno depenalizzato in materia dei reati contravvenzionali.
C) Le restrizioni alla libertà personale: presupposti. La
prevenzione. La restrizione della libertà può derivare oltre
che dalla pena inflitta anche dalla misura di sicurezza applicata
(in aggiunta alla pena). L'art.25 prevede le misure di sicurezza
detentive (es. ricovero in ospedale psichiatrico o ricovero
in riformatorio) che hanno lo scopo di neutralizzare la pericolosità
del reo e che sono assoggettate anch'esse al principio di
legalità. Tali misure si affiancano alle pene nelle quali
è invece prevalente la funzione retributiva. Le misure di
sicurezza sono diverse dalle misure di prevenzione che trovano
la loro fonte nel T.U. di Polizia e che vengono applicate
quando c'è una fattispecie di sospetto di un comportamento
illecito ma manca completamente la prova rispetto alla commissione
di un fatto qualificato dalla legge come reato. Il sistema
di prevenzione, che si è oggi arricchito delle c.d. misure
antimafia, costituisce una sorta di confessione di impotenza
della macchina giudiziaria che, anziché punire il delitto
accertato, colpisce la persona che si sospetta di averlo commesso
e della quale non si è riuscito a provare la responsabilità.
Tali misure non sono legittimate dalla Costituzione in quanto
non è stato commesso il fatto e quindi non c'è reato esse
si applicano in casi particolari in cui praticamente fungono
da leggi eccezionali. D) Le restrizioni alla libertà personale:
i presupposti. La custodia cautelare. In ogni ordinamento
esiste una possibilità di carcerazione effettuata prima che
la responsabilità penale sia accertata in forma definitiva,
si tratta della carcerazione preventiva prevista dall'art.13/4
Cost. Il decorso del tempo necessario alla conclusione del
processo mette spesso a repentaglio la possibilità di applicare
la pena o di prevenire ulteriori attività criminose, per cui
la carcerazione preventiva è l'estrema ratio, cioè l'ultima
possibilità che si ha per salvaguardare certe situazioni (es.
inquinamento delle prove). Tuttavia va considerato anche il
principio contenuto nell'art.27 secondo cui l'imputato non
è considerato colpevole sino alla condanna definitiva, per
cui il contemperamento fra le due opposte esigenze va realizzato
nei presupposti della carcerazione preventiva e nella sua
durata massima. Le misure cautelari vengono disposte da un
giudice e per esse vige il principio della tassatività, per
cui sono quelle previste dal codice ed applicabili nei casi
e nei motivi indicati. Custodia cautelare: il nuovo codice
di procedura penale (DPR 22/09/88 n.447 conv. in legge il
24/10/89) usa il termine custodia cautelare al posto di carcerazione
preventiva per delimitare la portata dell'istituto, finalizzandola
al processo e alla decisione di merito. Il provvedimento "cautelare"
ha lo scopo di impedire che il tempo occorrente per far valere
il diritto pregiudichi irreparabilmente il diritto stesso.
I presupposti delle misure cautelari sono 2: - fumus commissi
delicti= parvenza che sia stata commessa un'azione delittuosa
- periculum libertatis. In pratica, se esistono gravi indizi
di colpevolezza (art.273ccp), le misure possono essere disposte
per: - finalità probatorie: contro il rischio che la prova
sia dispersa o inquinata (art.274 ccp lett.a); - pericolo
di fuga dell'imputato e si tratti di reato per il quale si
ritenga applicabile una pena superiore ai due anni di reclusione
(art.274 ccp lett.b); - esigenze di tutela della collettività
in relazione al concreto pericolo di commissione di delitti
gravi (art.274 cpp lett.c). Le limitazioni della libertà sono
subordinate alla ricorrenza di almeno uno di questi presupposti
non solo all'insorgere della limitazione, ma in caso di persistenza
della stessa, dovendo le misure essere revocate (se i presupposti
vengono a mancare), ovvero essere modificate e sostituite
con altre di diverso tipo (se le esigenze si modificano).
Una novità del CPP è la designazione di due principi fondamentali
di cui bisogna tener conto: principio di adeguatezza e proporzionalità
nella scelta delle misure. Sulla base di tali principi il
giudice, disponendo di un ampio ventaglio di provvedimenti
possibili (divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla
polizia giudiziaria, divieto e obbligo di dimora,ecc) sceglierà
la misura meno gravosa per l'imputato tra quelle idonee a
fronteggiare le esigenze di cautela e ricorrerà alla custodia
cautelare in carcere quando ogni altra forma risulti inadeguata
(artt. 275/3, 291-92-93-94-95). Durata della custodia cautelare:
comprende i termini complessivi, finali e intermedi. Termini
complessivi: 2 o 4 anni a seconda che si proceda per un delitto
per cui è prevista la reclusione non superiore o superiore
a 6 anni (art.303/4 cpp). Termini finali: non può durare più
dei 2/3 del massimo della pena prevista per il reato contestato
o ritenuto in sentenza (art.304/4 cpp). Termini intermedi:
rapportati ai diversi stati e gradi del procedimento, quantitativamente
differenziati in ragione della gravità dell'imputazione. In
caso di carcerazione preventiva si possono esperire due azioni:
-ricorso al Tribunale della Libertà (detto giudice del riesame)
del luogo in cui il P.M. ha emesso l'atto per la custodia
in carcere; tale organo entra nel merito e deve rispondere
entro 10 giorni; - ricorso alla Cassazione per vizi di legittimità:
la Corte di Cassazione non entra nel merito ma verifica solo
se il giudice ha applicato la legge in termini erronei o falsi.
Dal punto di vista terminologico, la persona assoggettata
a misure cautelari viene sinteticamente definita "imputata":
È bene chiarire che il termine imputato va inteso come soggetto
passivo e quindi come indagato; infatti le misure cautelari
possono intervenire anche nella fase delle indagini preliminari
che potenzialmente, potrebbero anche concludersi con l'archiviazione
(che esclude l'esercizio dell'azione penale e la correlativa
qualità di imputato in senso stretto). Il D.L. 12/01/93 n.3
ha introdotto nel cppCPP l'art.286bis in cui è previsto l'obbligo
per il giudice della revoca della custodia carceraria allorché
il detenuto sia affetto da AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria. In ipotesi meno gravi di HIV il giudice può disporre
la revoca della custodia carceraria se esiste una incompatibilità
tra le condizioni di salute del carcerato ed il regime carcerario.
In entrambi i casi il giudice può, valutata la pericolosità
sociale dell'imputato, disporre o la scarcerazione o gli arresti
domiciliari. E) Le restrizioni: la competenza (riserva di
giurisdizione). Dopo la riserva di legge, la seconda grande
garanzia della libertà personale contenuta nell'art.13 è la
riserva di giurisdizione; tale riserva prevede che nessuna
restrizione è ammessa se non per atto motivato dell'autorità
giudiziaria perché in questo modo il soggetto ha degli strumenti
di difesa (ricorso in Cassazione per violazione di legge o
Tribunale della libertà). La deroga a questo principio è contenuta
sempre nell'art.13 che prevede, in casi eccezionali di necessità
ed urgenza, la competenza dell'autorità di pubblica sicurezza:
questa ha carattere surrogatorio, tant'è che si tratta di
provvedimenti provvisori che vanno comunicati entro 48 ore
all'autorità giudiziaria che, se lo ritiene opportuno, deve
convalidarli entro le successive 48 ore (si tratta dell'antichissima
garanzia dell'habeas corpus, ossia dell'ordine impartito dal
giudice all'autorità di polizia di presentargli, entro un
termine perentorio, chiunque sia detenuto, indicando i motivi
dell'arresto. Conosciuto sin dall'epoca della Magna Charta,
è stato confermato nell'Habeas Corpus Act del 1679, è transitato
nelle dichiarazioni dei diritti seguite alle rivoluzioni d'America
e di Francia e costituisce oggi uno dei fondamenti dello Stato
di Diritto). Per autorità giudiziaria si deve intendere il
giudice, mentre è esclusa ogni competenza del P.M. (salvo
il potere di disporre il fermo di indiziati); il P.M. è un
magistrato dell'ordine giudiziario con funzioni requirenti,
ma non giudicanti. La garanzia offerta dalla riserva di giurisdizione
è completata dal requisito della "motivazione" posto al carico
del provvedimento restrittivo della libertà personale, requisito
che è un'applicazione della regola secondo la quale tutti
i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati (art.111Cost).
La deroga prevista dall'art.13 si trova disciplinata nel cpp
nelle misure dell'arresto in flagranza e del fermo. L'arresto
presuppone lo stato di "flagranza", ossia che la persona venga
colta nell'atto di commettere il reato o si dia alla fuga
subito dopo il reato o sia sorpresa con cose o tracce (es.
sangue) dalle quali appaia aver commesso il reato immediatamente
prima. L'arresto è obbligatorio, cioè un atto dovuto, per
i reati di particolare gravità previsti dall'art.380 cpp (delitti
non colposi per cui è prevista una pena che va da 5 a 20 anni),
mentre è facoltativo, cioè un atto discrezionale, quando è
ammesso in relazione alla gravità del reato e alla pericolosità
del reo, o per delitti con pena prevista non inferiore a 3
anni (es. furto con destrezza). L'arresto rientra nelle competenze
della P.G. Il fermo ha assunto particolare rilevanza nell'ambito
delle misure privative della libertà perché attribuisce al
P.G. ed alla P.M. un potere di cattura discrezionale, svincolato
dal requisito della flagranza di reato. Il fermo è previsto
quando ci sia fondato pericolo che l'indiziato (gravemente
indiziato di delitti puniti con pena della reclusione non
inferiore a 2 anni) stia per darsi alla fuga; quindi occorrono
due requisiti: il pericolo di fuga e gravi indizi di reità.
Il fermo può essere effettuato dal P.M. che ordina alla polizia
giudiziaria di arrestare il reo, oppure può essere effettuato
direttamente dalla P.G. in caso di urgenza. La persona arrestata
o fermata deve essere posta al più presto, e comunque non
oltre le 24 ore, a disposizione del P.M., ed entro 48 ore
dall'arresto o dal fermo il P.M. deve chiedere al giudice
la convalida dell'azione coercitiva. La convalida deve avvenire
entro le 48 ore dal momento in cui la persona è stata posta
a disposizione del giudice, a pena d'inefficacia dell'arresto
o del fermo. Più analiticamente, i doveri della P.G., in caso
di arresto, sono i seguenti: - immediata notizia dell'operazione
al P.M. presso il tribunale o la pretura (secondo la rispettiva
competenza per materia) del luogo ove la misura è stata eseguita;
-avvertimento al soggetto della facoltà di nominare un difensore
di fiducia; - richiesta al P.M., ove necessario, di nominare
il difensore d'ufficio; - immediata informativa al difensore
dello stato di restrizione; - messa a disposizione del P.M.,
entro le 24 ore, del fermato o arrestato; - invio nello stesso
termine di 24 ore del verbale di arresto al P.M.; - avviso
dell'arresto o fermo ai familiari, con il consenso dell'interessato.
L'ordinanza di convalida del G.I.P. in quanto tale, attiene
solo al controllo giurisdizionale sull'atto privativo di libertà
operato dalla P.G. (arresto o fermo) o dal P.M. (fermo), ma
non vale a legittimare l'ulteriore protazione dello stato
di fermo o di arresto. Infatti il G.I.P., se non emette anche
un'ordinanza ulteriore di applicazione di una misura coercitiva,
deve, in ogni caso, ordinare la immediata liberazione, sicché
la restrizione della libertà prosegue solo se la contestuale
richiesta di misura coercitiva è accolta dal G.I.P. Pertanto,
sia nell'ipotesi di mancata convalida, sia in quella di convalida
non seguita dalla irrogazione di una misura coercitiva, il
fermato o arrestato deve essere immediatamente liberato (contro
il provvedimento di convalida dell'arresto o del fermo è ammesso
solo il ricorso per Cassazione). F) Le restrizioni: il trattamento
del detenuto. La Cost. dà una duplice garanzia: - art.13/4
divieto di ogni violenza fisica e morale - chi è sottoposto
alla pena non deve subire un trattamento contrario al senso
di umanità e la pena deve tendere alla rieducazione del condannato.
Nota: rimane comunque la caratteristica retributiva della
pena perché solo con questa si spiega la proporzione fra gravità
del reato e pena, che non sarebbe giustificabile se la pena
avesse solo uno scopo di rieducazione, perché in tal caso
la pena dovrebbe essere commisurata alla personalità del soggetto
e non al fatto da lui compiuto.
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